Nicola Magliulo
Filosofo

Myriam
Perché per insegnare a Suo Figlio il pianto fui scelta io?
Dormi, Piccino mio.
E sogna. Nei sogni umani la terra sale al Cielo
dove non si ha bisogno di pregare né ci si sente soli mai.
Nelle tue prime ore di vita qui, hai già scelto
di quale morte morirai?
Tra quanti attimi ti incamminerai sulla Via Dolorosa?
Sogna, almeno ora.
Così cantava W. Auden in alcuni versi dedicati a Maria nel suoOratorio per Natale.
Myriam, questa umile ragazza ebrea, ha capacità di ascolto, medita, si ritrae, deve decidere: non solo, come tutte le altre donne, se essere madre ma di accogliere in sé l’Immenso. Ha dubbi sulla figura di luce che le appare; pensa ciò che l’Angelo le annuncia. La sua, alla fine, non è obbedienza passiva ma libertà di dire sì anche senza sapere quale sarà il destino del Figlio. Myriam deve scegliere, vivere e sopportare l’attesa. Può essere piena di grazia o piena di sé, capace di sacrificio e di un gratuito dono, o di sprofondare nel proprio dolore solitario, nel dubbio, nel rifiuto. Eppure dice sì, il Suo Amore è oltre ogni timore di soccombere ad un doloroso destino, la sua accoglienza è escatologica, oltre-tragica.
Nel Prologo al Vangelo di Giovanni, Dio, il Logos si incarna senza mediazione femminile a differenza di quanto narrano i Vangeli sinottici. E’ invece necessario il grembo materno perché l’Incarnazione non sia solo spirituale: non potrebbe esserci vera generazione/incarnazione del Figlio se non tramite la donna che genera. Tutta la nostra tradizione anche iconografica testimonia, come scrive Massimo Cacciari nel suo libro ‘Generare Dio’, di questa centralità della figura della Madre di Dio, che invece appare trascurata nel ramo protestante-tedesco del cristianesimo.
Ma prendere sul serio l’Incarnazione significa oltrepassare la Gloria spiritualizzata e disincarnata delle figure divine, del Figlio e della Madre, differenziarsi dalle pallide rappresentazioni teologiche della Theotokos: immaginare-dipingere, ad esempio, Madonne gravide o che allattano. Sono grandi artisti a contribuire, più dei teologi, alla realizzazione di opere in cui l’umanizzazione della Madre di Dio raggiunge il suo culmine. E’ la Madonna del Parto di Piero che tiene la mano sul grembo come ad ascoltare i movimenti del Figlio che porta in sé; sono le Madonne che offrono il seno o che incrociano i loro sguardi con quelli del Figlio in un colloquio silenzioso, persi in un’estrema reciproca dolcezza, come nell’istante in cui due che si amano si fanno davvero uno pur restando distinti. Soggetti sacri talmente visibilmente incarnati da suscitare la reazione negativa del Concilio di Trento.
La ‘follia’ di un Dio che nasce, vive e muore come tutti gli altri uomini e di una Madre che lo porta in grembo, consente di innalzare, accogliere l’umano nella sua interezza in sé, di farne apparire la divino-umanità. E’ un paradosso quello che va tenuto insieme senza spezzare ‘ereticamente’ il simbolo: da un lato la donna che vive la pienezza della sua maternità e umanità e dall’altro la Vergine visitata dall’Angelo e fecondata dallo Spirito.
Ma non solo custodire nel grembo il Figlio rende luminosa l’attesa e il corpo materni ma in Maria ad essere glorificata non è neanche una serena gravidanza, perché la Madre di Dio è una donna incinta in fuga, che cerca come una femmina di animale il luogo più tranquillo per partorire e deporre il neonato; che è inseguita, in pericolo, respinta come una madre migrante. Il Potere mondano dà la caccia, ordina ed esegue stragi per sopprimere il Bambino perché non ne sia minacciato, per soffocare sul nascere l’avvento di un’inaudita e radicale Novitas. Ma Lei è khecharitoméne, piena di grazia, oggetto di un’elezione inaudita, anche se è una grazia che flagella: per Cacciari, il Bambino che tiene tra le braccia, insinua nella sua mente angosciosi presagi, come viene mostrato in particolare nell’icona della Madonna con il bambino dormiente di Andrea Mantegna, conservata nel Museo Poldi Pezzoli a Milano.
Non rappresentano invece un’Annunciazione, né una Madre con il bambino o ai piedi della Croce, né una Pietà le Madonne di Ariante. Esse appaiono piuttosto una galleria di ritratti di giovanidonne, dipinte frontalmente, avvolte, sovrastate, attraversate dacolori caldi e luminosi, alleggerite da ogni timbro drammatico, in consonanza con le sue opere dedicate alla figura di Gesù;anch’esse sprigionano infatti una forza vitale liberata dalla simbologia della Passione e della Croce. E’ come se Ariante volesse sottolineare, nel dipingere le figure cardine del cristianesimo, una tonalità dominante e gioiosa, ponendo fine ad ogni tragica contraddittorietà del simbolo cristiano, ad ogni eco luttuosa e spiritualistica. Qualcosa che risuona anche nei versi di Elio Fiore nel Canto della ninna nanna di Hannah raccolti in Myriam di Nazareth
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Dolce mia Myriam,
Perla del Creato
Per te ho ricamato
Una veste bianca e azzurra
Come te luminosa e immacolata.
